Internet frontiera di libertà
di Marco Cappato
martedì 8 giugno 2004
La pirateria non si combatte con un carabiniere davanti ad ogni computer ma attraverso una revisione del concetto di diritto d’autore. Urbani, GPL e Copyleft
Roma - La storia della legge sulla fecondazione assistita, criticata anche da chi la approvava, si ripete con il Decreto Urbani sulla pirateria informatica. Il Ministro Urbani ha, infatti, chiesto il 18 di maggio di approvare un piccolo mostro legislativo che criminalizza comportamenti abituali di milioni d’italiani preannunciando che “il legislatore interverrà per correggere eventuali errori, sia noti, sia futuri”. Il fatto che un Ministro inviti ad approvare, senza alcuna fondata motivazione d’urgenza, misure che sono ritenute “errori noti” fa di nuovo sprofondare il Parlamento italiano nella tragicommedia.
La necessità di votare un testo che gli stessi presentatori considerano viziato da errori è spiegabile solo con una fretta tutta pre-elettorale imposta da attori esterni (il Vaticano nel caso della fecondazione assistita, i gruppi cinematografici nel caso del decreto Urbani) ai quali una maggioranza parlamentare, ancora una volta trasversale, ha inteso obbedire.
Il “decreto Urbani” non è che l’ultima goccia di uno stillicidio illiberale che sta caratterizzando la legislazione italiana, europea e americana in materia di nuove tecnologie, siano esse relative alla Rete sia che facciano riferimento al software.
Dopo l’accordo raggiunto con Washington il 17 maggio da parte della Commissione europea sul trasferimento dei dati dei passeggeri verso gli USA, il 18 i Ministri dell’Unione Europea hanno approvato la brevettabilità del software. Su entrambi i provvedimenti il Parlamento europeo si era espresso in direzione opposta con un voto sofferto uscito da mesi di dibattito. Non stupisce che la Commissione e il Consiglio abbiano scelto un momento di “vuoto” parlamentare per assumere decisioni che si scontrano frontalmente con la volontà dell’unica istituzione europea direttamente eletta. A Bruxelles come a Roma si è voluto forzare la mano in nome d’interessi altri rispetto a quelli dei cittadini.
Il progresso tecnologico degli ultimi quindici anni ha prodotto il più alto numero d’innovazioni della storia dell’umanità nel più breve lasso temporale. Il legislatore, invece di limitarsi alla definizione di poche regole generali, ha cercato di rincorrere il ritmo dell’innovazione opponendo una visione conservatrice e protezionista - sistematicamente proibizionista - alle possibilità offerte dalla creatività di ricercatori e programmatori. Tale comportamento è il risultato da una parte delle pressioni di chi sostiene siano a rischio i diritti d’autore e di riproduzione, oppure la possibilità di brevettare invenzioni, e dall’altra di chi - come le grandi multinazionali dell’intrattenimento e del software - teme il danno economico della riduzione di parte dei profitti legati a modelli produttivi “tradizionali”.
Al di là delle paure di alcuni dei soggetti interessati, la possibilità di scambiare contenuti attraverso la Rete, la possibilità di scrittura “collettiva” di programmi, rappresentano novità da valorizzare e favorire. Alcuni suggerimenti già esistono e provengono dagli innovatori stessi, basterebbe pensare alle proposte del fondatore del movimento del Software libero Richard Stallman, la General Public License, intesa a garantire la libertà di condividere e modificare il software libero al fine di assicurare che i programmi siano liberi per tutti i loro utenti, ed suoi derivati più commerciali.
Per secoli si è ritenuto che la proprietà di un terreno si estendesse dal centro della terra fino allo spazio infinito. La scoperta di reperti archeologici da un lato e l’invenzione di nuovi mezzi di trasporto dall’altro hanno modificato l’estensione di quei diritti di proprietà. Internet pone lo stesso tipo di necessaria revisione.
La regolamentazione - o, più spesso, deregolamentazione - può certamente comportare in termini di profitto dei sacrifici iniziali per alcuni, dal restringimento temporale della validità dei diritti d’autore alla non brevettabilità di funzioni dei programmi software, ma il sacrificio di oggi va iscritto in un processo di cambiamenti che interesseranno sempre più le forme - e probabilmente anche i contenuti - della comunicazione umana e dello “stare insieme” di centinaia di milioni di persone. Già oggi ci sono comunità che, in particolare su questioni relative alla Rete o al software, si sono evolute fino a divenire veri e propri gruppi di pressione politica. Tuttavia, se nei Paesi democratici le eccessive limitazioni possono essere corrette attraverso riforme legislative o sentenze di Corti, nei Paesi autoritari esse vanno solo ad aumentare arsenali repressivi di per sé già molto potenti.
L’affermarsi di innovazioni tecnologiche, o di possibilità di sviluppo scientifico, non può sempre e solo scontrarsi con la proibizione o la protezione come uniche misure di governo. Pensiamo a cosa sarebbe accaduto se il “decreto Urbani” fosse stato in vigore quando Stallman oppure Linus Torvalds iniziarono a sviluppare sistemi operativi alternativi a quelli esistenti e a diffondere i primi programmi di software free e open. La polizia postale di turno li avrebbe dovuti arrestare. Il movimento del Software libero (che non significa necessariamente gratuito), che si basa proprio su sistemi “Peer to Peer” per diffondere, elaborare e migliorare i programmi “open source” non sarebbe mai nato o si sarebbe sviluppato illegalmente.
La pirateria informatica non si combatte condannando gli utenti della Rete al carcere o mettendo un carabiniere davanti ad ogni computer, ma attraverso una revisione del concetto di diritto d’autore e di proprietà digitale. I pensatori del Software libero hanno molto da insegnarci: sostituire il “copyright” con il “copyleft”, con il quale l’autore stesso delimita il campo della proprietà intellettuale per favorire la diffusione della sua opera; limitare la durata del diritto d’autore; favorire le innovazioni e non la brevettazione delle idee; introdurre un canone d’abbonamento ad Internet che copra, come succede per il canone televisivo, i diritti d’autore. Queste alcune delle idee che circolano nella Rete. Tra le nuove regole necessarie ci sono quelle che devono affermare il diritto di accessibilità ai contenuti digitali alle persone con disabilità.
Le prospettive politiche non sono certo le migliori. Il proibizionismo imposto alla ricerca scientifica e alle sostanze stupefacenti trova oggi un corrispettivo altrettanto forte e trasversale nel proibizionismo sulla Rete. Mentre la consociazione partitica italiana si sta sempre più caratterizzando come il partito unico della conservazione, l’unica possibilità di ribaltare l’attuale impostazione sta nella crescita, anche organizzata (che non deve significare, come spesso accade, parastatale e sussidiata) dei portatori di interessi più diffusi, quali quelli degli utenti di Internet.
Deputato europeo radicale “Lista Emma Bonino”