di Paolo Laitempergher
venerdì 8 agosto 2003
inTerzaPagina.it aderisce alla campagna contro la brevettabilità del software per evitare il rischio di paralisi di qualsiasi forma di innovazione di sviluppo indipendente nel campo informatico.
La libertà, sia in senso lato che individuale, è un bene prezioso, irrinunciabile, sancito dalla carta dei diritti dell'uomo e dalla nostra stessa costituzione.
La libertà di espressione e la libera circolazione delle idee ad essa intimamente correlata, sono beni primari altrettanto irrinunciabili.
Cosa succede però quando questi principi fondamentali paiono collidere con altri diritti come la tutela delle opere dell'ingegno?
R. Stallmann, uno dei padri del movimento free-software, ci fornisce una chiave di lettura: il software è un elemento astratto, impalpabile, materialmente incostitente. Esattamente come lo sono le nostre idee.
In questo periodo è un gran parlare di EUCD, European Union Copyright Directive, la direttiva europea su i diritti d'autore che interviene anche in campo informatico.
Esistono numerosi tipi di brevetti informatici, partendo da quelli molto tecnici per arrivare a quelli sui metodi astratti puramente sociali. I vincoli attuali nella legge europea sui brevetti rendono molto complicato brevettare qualsiasi cosa che non sia “una macchina che includa un programma e che abbia un effetto tecnico ed un'applicazione industriale”. Questa esclude a priori tutti brevetti Internet (tranne sugli strumenti di pagamento proprietari) e quei brevetti sui metodi educativi.
La Commissione Europea sta però esercitando pressioni affinché i brevetti software siano legalizzati e resi facilmente applicabili in tutta Europa.
Da studi economici effettuati, non emerge alcuna evidenza che i brevetti sul software portino ad una maggiore produttività, innovazione, diffusione del sapere o siano, in qualche altro modo, vantaggiosi. Non solo, ma l'esperienza delle PMI che operano nei paesi che hanno introdotto l'uso dei brevetti software insegna che vi è un considerevole aumento di costi per spese legali e in molti casi si assiste all'espropriazione piuttosto che alla protezione delle opere prodotte dagli autori di software.
Il primo rischio di questa normativa è quello di generare monopoli di fatto. Ad esempio sugli e-books: il controllo totale di ciascun formato di file implica la realizzazione di tanti lettori quanti sono i formati conosciuti.
Un altro aspetto da non sottovalutare è quello legato alla interoperatività: se non è possibile utilizzare e condividere gli strumenti per analizzare protocolli, non si può far lavorare insieme due sistemi diversi, a meno che entrambi produttori non rendano pubbliche le informazioni sui protocolli utilizzati.
Dal punto di vista della stabilità e della sicurezza si fanno passi indietro. La completa ed immediata divulgazione della vulnerabilità di un software solitamente induce il produttore a trovare un rimedio in tempi rapidi per evitare anche una ricaduta negativa in termini di immagine; è un dato di fatto che invece questa legislazione non consente la comunicazione di eventuali punti deboli che potrebbero rivelarsi “sensibili”.
Ultima, ma non meno importante, l'aspetto della restrizione della libertà di espressione che traspare dalle righe di tale dispositivo normativo.
L'Unione Europea spesso cede alla tentazione di legiferare su tutto, inseguendo il progresso tecnologico con una sequela di proposte legislative sempre più minuziose, articolate, pedanti e tecnicistiche.
“Si tratta di un metodo legislativo che è il prodotto di una architettura istituzionale quasi incomprensibile. In un contesto simile, è evidente che il potere di controllo dei governati sui governanti è alquanto limitato e che quindi le lobby ed i gruppi di interesse e esercitino un'influenza che va ben al di là della loro rappresentatività” commenta Marco Cappato, eurodeputato Radicale.
Questa direttiva rischia di mettere in crisi addirittura il software libero, non tanto quello privo di copyright ma quello che rende facoltativa l'obbligatorietà di corresponsione di royalties e garantisce la possibilità di riutilizzare porzioni di codice sviluppate da programmatori, secondo quanto previsto ad esempio da licenze come la GPL proposta dalla Free Software Foundation.
Un conto è il copyright su un programma, che rappresenta una legittima tutela per chi scrive un determinato codice, un altro è il diritto di proprietà sulla funzione realizzata dal programma, che cento programmatori diversi possono formulare, implementare e tradurre, mediante cento metodi diversi.
Questo è uno dei nodo più preoccupanti nella proposta EUCD.
In sostanza sarebbe possibile ipotecare porzioni di software ed algoritmi molto semplici, banali e di uso comune. Un po' come brevettare il disegno, la scrittura, l'uso della voce o l'uso dell'italiano, del tedesco e via così.
L'ostacolo per il software libero rappresentato dalla brevettabilità è enorme, perché nega alla radice il fatto che i “produttori” di software possano essere in realtà allo stesso tempo “consumatori” e che vorrebbero poter adattare o aggregare idee o programmi altrui.
Anche in questo caso c'è un problema di fondo nell'approccio adottato dai provvedimenti legislativi. L'innovatività delle aziende tecnologiche viene solitamente valutata con la quantità di brevetti detenuti, questo è forse il motivo per cui si sta tentando l'introduzione di brevetti su software e le procedure di business anche in Europa, come già avvenuto in America ed in Giappone.
Le aziende medio-piccole difficilmente riescono ad approfittare di meccanismi di brevettabilità che sono più terra di conquista di avvocati, che di programmatori.
Con tale proposta di direttiva vi è il rischio di andare a ostacolare il comparto delle piccole e medie imprese favorendo i grandi gruppi, dimenticandosi come in Italia ad esempio, questo tipo di azienda, costituisca l'ossatura e la spina dorsale dell'intera economia nazionale.
“Certo, il fatto che l'economia digitale sia cresciuta proprio negli Stati Uniti potrebbe essere letto con un punto a favore di chi vuole la brevettabilità. Tuttavia, crediamo il sistema americano si affermi dalla grande flessibilità del mercato del lavoro e dei capitali ed in particolare della capacità di immobilizzare investimenti ingentissimi nel capitale umano”, prosegue Marco Cappato.
In queste settimane il Parlamento europeo sta dibattendo la proposta di direttiva, è necessario quindi operare per limitare di molto campo della brevettabilità dei software. Il criterio deve diventare quello della sola brevettabilità di sistemi utilizzati in applicazioni industriali per risolvere in modo innovativo problemi tecnici.
Le idee su modalità di gestione organizzata delle informazioni devono poter essere coperte da copyright, ma non da brevetto.
Negli Stati Uniti si è già provveduto a brevettare alcune funzionalità fondamentali, come la tecnica di emulare la velocità di accesso ad un CD-ROM rallentando la velocità del disco rigido, o l'uso di colori diversi nella scrittura dei programmi, oppure la funzione del word-processor che rileva la pressione dei tasti ed in base a questa segnala l'utenza le nuove funzionalità presenti nel programma. Senza contare le scorribande, fresche di un recente passato, di chi tenta o ha tentato di brevettare ora il concetto di multimedialità, ora quello di link alla base del web e quant'altro.
Il rischio evidente è quello di paralizzare qualsiasi forma di innovazione di sviluppo indipendente.
L'esito del confronto sulla brevettabilità è oggi il punto fondamentale. La questione non insiste sul fatto di sostenere un tipo di software contro un altro, ma a contribuire ad abbattere barriere legislative che danneggiano un certo tipo di software rispetto ad un altro.
Quando ci sono regole chiare che garantiscono la concorrenza, è il consumatore a scegliere.
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